Lo sguardo intenso e fermo, l’espressione avvilita e trattenuta, insieme alla caratterizzazione dei tratti somatici del giovane monaco, fanno sì che il dipinto sia considerato un vero e proprio ritratto, anche se il nimbo e la palma che egli regge tra le dita, aggiunti forse in un secondo momento, mirano a qualificare l’immagine come quella di un santo martire dell’ordine benedettino. L’attribuzione a Caroto è proposta da Carlo Volpe e trova conferma nella fusione di sollecitazioni cromatiche veneteggianti entro un’impostazione di sobrio classicismo, che sembra intrattenere rapporti con la cultura emiliana del primo Cinquecento. Questo classicismo emiliano lo si trova nella plasticità del volto e della mano affusolata.
Banca Popolare dell’Emilia Romagna. La Collezione dei dipinti antichi, a cura di D. Benati e L. Peruzzi, Milano 2006.