Capolavoro della pittura di genere “ridicolo” in auge alla fine del XVI secolo, la tela costituisce uno degli apici più sorprendenti del catalogo di Bartolomeo Passerotti, in virtù dell’abilissimo gioco tra artificio e natura, tra fedele riporto del vero e la sua distorsione caricaturale con intento moraleggiante e sarcastico. In consonanza col “Discorso intorno alle immagini sacre et profane” del cardinale Gabriele Paleotti comparso a Bologna nel 1582, questo genere di pittura, basso e triviale, può sottrarsi al “decoro” indispensabile nella pittura di genere alto. Se è evidente l’allusione ai cinque sensi, simboleggiati dallo sguardo, dal canto, dal profumo della rosa, dalle mani che toccano lo strumento, dal cane che azzanna il pane, il dipinto contiene anche una pesante ironia nei confronti dell’erotismo senile; il vecchio contadino con il fiore sul cappello si perde nella sua serenata amorosa e non si accorge che il cane gli sta portando via il pane. Questo tipo di produzione del Passerotti, sorprendente per il grado di verità degli oggetti di vita quotidiana, si colloca a partire dagli anni settanta, in contiguità con le opere di Vincenzo Campi e in anticipo sul “Mangiafagioli” di Annibale Carracci, vero e proprio manifesto del realismo moderno.
Banca Popolare dell’Emilia Romagna. La Collezione dei dipinti antichi, a cura di D. Benati e L. Peruzzi, Milano 2006.