La santa rappresentata da Cagnacci è riconoscibile per il consueto attributo dei seni recisi sul piattino, allusione a una delle torture alle quali venne sottoposta. Sant’Agata è raffigurata a mezza figura, investita da un fascio di luce che spiove dall’alto e verso il quale rivolge lo sguardo. Cagnacci conferisce all’immagine uno spessore carnale, grazie all’impianto luminoso che lascia in ombra parte del viso, ma scopre la gola palpitante e le labbra socchiuse della donna. Anche l’uso del fondo grigio, contro il quale la figura spicca con risalto, concorre poi all’effetto di forte fisicità che il pittore intende trasmettere. Nelle opere da stanza di Cagnacci l’erotismo è sempre più evidente. L’opera si può collocare sul finire del quarto decennio del Seicento.
Banca Popolare dell’Emilia Romagna. La Collezione dei dipinti antichi, a cura di D. Benati e L. Peruzzi, Milano 2006.